Eclissati per un tempo da
altre aspettative, altre angosce, i Balkani occuppano di nuovo, tragicamente,
il davanti della scena.
Coperto dal silenzio e il rumore delle armi, le immagini di nuovo si
estenuano. Immagini dove non c’é niente da vedere, solamente
la guerra dell’informazione : volontà di controllo autoritario
degli uni, perdita totale del controllo etico per gli altri…
La storia sembra, disperatamente, ripetersi. E già l’oblio
ci minaccia di dispensarci di agire, di vedere, di pensare. Ma, la storia
mai si ripete, perché sedimenta le sue proprie tracce anziché
cancellarle. Bisognerebbe ancora che l’amnesia mediatica non ci
porti troppo in fretta a relegarle nella regione ceca delle immagini
morte.
Guardare ancora quello che le camere teleguidate non gurdano più,
assorti da altri eventi. Per riappropriarci le nostre ostinazioni visuali
: questo é l’enjeu del ‘dovere di memoria’,
che si vuoterebbe di tutta significazione se si riducesse a ripetersi
continuamente.
Ritornare a monte dell’attualità, non é solamente
rifiutare che un’informazione scacci un’altra informazione
senza speranza di ritorno, ma anche che s’imponga una finzione
di destini separati, comodamente superposti nei cassetti dei nostri
archivi. É cercare di essere presente nel mondo e partecipare,
accettando la crescente complessità delle situazioni che si aggrovigliano,
si rispondono, si contaminano. Non per ricordarsi ma piuttosto per scegliere
i nostri futuri. Cosi’, perché é al margine del
Kosovo che bisogna ritornare in Bosnia. Perché non sono più
sui fuochi della rampa e dei snippers che bisogna dar da vedere Sarajevo,
Bihac, Vukovar, Gorazde, Srebrenica… Dare del senso al non evento
del dopo, per non lasciarci sfuggire completamente il flusso degli eventi.
Cosa resta per noi della Bosnia ? In quali immagini abbiamo dimenticato
quelle città dove degli uomini continuano a esistere ? Come vivono
quotidianamente in mezzo alle rovine, i traumatismi e gli sforzi di
un’amnesia riparatrice. Cosa finisce e cosa incomincia ogni giorno,
sui visi, sui muri, i gesti che riempiono o che separano ?
Quello che si gioca in Bosnia – come quello che si decide nel
sangue in Yugoslavia – é la possibilità di vivere
insieme, in uno spazio e un tempo comune, assunti e desiderati.
Quello che noi chiamiamo ‘solidarietà’, ‘civismo’
o semplicemente ‘cittadinanza’. Ora questa spartizione non
potrebbe essere effettiva senza l’appoggio delle immagini. Perché
non c’é riconoscenza o identità senza il supporto
di una rappresentazione. Come non c’é memoria seza impronte,
ne progetti senza proiezioni.
Affrontare la complessità del continente europeo potrebbe essere
questa facoltà di doppia vista. Fotografare la Bosnia, per capire
anche il Kosovo : da dove viene, dove va. Preparare sullo sfondo dissimulato
da un primo piano troppo esposto. Ritrovare sotto la superfice del manifesto
totte le possibilità del negativo. E decifrare la storia come
si sviluppa l’immagine latente, nella prova del tempo.
Interrogare il territorio europeo, potrebbe essere questo sforzo per
immaginare quello che si dissipa nel flusso di un irraggiamento ad ore
fisse. Distruzioni, guarigioni, transizioni. Città assonnate,
in attesa, in risveglio. Fotografare la Bosnia, per prelevare delle
tracce gia fragilizzate dall’indifferenza e l’oblio, necessario
alla sopravvivenza. Redigere lo stao di questo non-luogo, per riconoscergli,
nell’immagine, il diritto nel luogo che gli spetta.
Costruire una società europea, potrebbe essere, finalmente, rivelare
questi nodi invisibili che legano gli uomini al suolo, ai muri e al
cielo della loro città. Rapporti fisici altrettanto che immaginari,
che abitano gli spazi abbandonati, e pietrificano i corpi passageri.
Fotografare la Bosnia, confrontando il paesaggio urbano al ritratto,
e le vedute d’interni alle scene di strade, per stare in un entre-deux
: quello del passaggio tra il vuoto e la vita, quello del partage tra
la perdita e l’ici.
Accompagnamento di un lavoro del lutto e di speranza guidata nel tempo
lungo della storia, questo progetto permetterebbe alla comunità
culturale di dare il cambio ai politici et ai media per influenzare
profondamente il loro impegno. Al momento in cui molti pensano di non
avere più debiti verso questi Europei troppo vicini e troppo
lontani, é più che mai necessario di imparare a conoscersi
meglio. Perché é quando tutto sembra finito che artisti
e instituzioni devono implicarsi ancora di più per operare al
mantenimento del vincolo sociale.
Questo intervento ingaggia inoltre l’esplorazione della mia propria
memoria. Quella che già si cercava nell'orrore invisibile di
Auschwitz, o i terreni abbandonati berlinesi. Quello che mi spinge à
togliere dal bagno dell’oblio i segni della chiusura, della frattura
et della vergogna, come quelli che si iscrivono oggi sul mondo che mi
circonda.
Per me, come per chiunque altro individuo ingaggiato nel suo avvenire
e nel suo passato in una colletività, bisogna partire e guardare
l’altro– questo contrario di noi stessi, che ci guarda come
in uno specchio.
1999 |